Soluzioni del futuro

Implantologia passato, presente e futuro
Cerchiamo di comprendere insieme la tecnica di inserimento degli impianti, le prospettive che questa ci offre ed anche i limiti applicativi della stessa. La storia degli impianti dentali nasce in Italia per mezzo del dott. Silvano Tramonte, il quale attraverso l’uso di punte lanceolate, perforava la gengiva dei pazienti inserendo poi nell’osso mandibolare o mascellare delle viti monoblocco in titanio. Le viti cosi inserite venivano protesizzate prima con delle capsule provvisorie in resina e successivamente con delle capsule definitive. Questa tecnica piuttosto empirica fu completamente rivista dopo la pubblicazione degli studi dell’università svedese di Goteborg diretta dal professor Bronemark. Secondo la metodica svedese infatti per l’inserimento degli impianti dentali dovevano essere effettuati dei lembi chirurgici di accesso al tavolato osseo sottostante, che veniva perforato con punte di sezione crescente, sino al raggiungimento della dimensione dell’impianto dentale da utilizzare. Dopo aver posizionato l’impianto, le mucose venivano suturate e si attendeva dai 3 ai 6 mesi affinché l’osso potesse saldarsi stabilmente con la superfice di titanio degli impianti . Avvenuta l’osteointegrazione dell’impianto (cosi si chiama l’intimo contatto tra tessuto osseo e impianto) si effettuava un nuovo accesso chirurgico per la protesizzazione, ovvero per l’accoppiamento con il moncone impiantare su cui venivano confezionate le protesi. Bisogna prima di tutto osservare che nel caso della vite Tramonte, l’impianto era composto di un unico pezzo che spuntava immediatamente dopo la prima ed unica chirurgia nel cavo orale , mentre per la tecnica di Bronemark definita sommersa l’impianto è composto dalla vite nell’osso e dal moncone accoppiato. La prima tecnica viene definita transmucosa mentre quella svedese è definita sommersa in due stadi . Gli studi scientifici hanno dimostrato che al fine di ottenere il massimo grado di contatto osso impianto (osteointegrazione) gli impianti non debbano essere sollecitati da forze durante il periodo di guarigione ; ecco il motivo per cui la tecnica svedese ha dato sempre maggiori garanzie di successo. Negli ultimi anni la naturale evoluzione delle tecniche chirurgiche, delle superfici implantari oltre che delle tecniche di radiologia ci consentono di pianificare riabilitazioni su impianti anche di intere bocche. La radiologia odontoiatrica attraverso le T.A.C., che nello specifico si chiamano DENTAL SCAN, ci fornisce reperti radiografici su cui pianificare l’intervento . Attualmente i casi che non possono essere riabilitati tramite impianti dentali sono sempre meno numerosi e dovuti a fattori sistemici quali per esempio il diabete scompensato o l’immuno deficienza o ancora le patologie del collagene; non va sottovalutato altresì la presenza di osso in quantità e qualità sufficiente a fare da sostegno agli impianti .
Spesso la cattiva informazione data dai mass media porta i pazienti a credere che le scienze mediche come l’odontoiatria possano fare dei “miracoli” ma in alcuni casi neanche le tecniche più avanzate di chirurgia ricostruttiva ossea possono fornirci un supporto adeguato per una riabilitazione orale su impianti.
Attualmente in alcuni casi selezionati possiamo posizionare impianti definiti transmucosi, ovvero impianti che ricalcano la metodica Tramonte, cosicché il paziente non dovrà subire un ulteriore seduta di chirurgia per la riapertura a 3-6 mesi; ed in casi ancora più selezionati possiamo spingerci oltre, ovvero applicare nella stessa seduta di chirurgia una capsula provvisoria opportunamente scaricata dalle foze presenti nel cavo orale che potrebbero pregiudicare l’osteointegrazione dell’impianto . Tale tecnica definita a carico immediato ha lo scopo di ovviare l’inestetismo dato dalla mancanza del dente nella bocca nel periodo di guarigione ossea.
L’ultima frontiera raggiunta dall’implantologa orale si esprime con gli impianti post estrattivi a carico immediato. Questa tecnica prevede, nel caso di un elemento dentale da estrarre, di posizionare un impianto nell’alveolo del dente asportato, rettificandolo con opportune frese, e nella contestuale applicazione di una capsula provvisoria ; in questo modo riduciamo ulteriormente i tempi e lo stress chirurgico per il paziente .
Da segnalare che il tanto temuto rigetto dell’impianto , ovvero la mancata osteointegrazione degli impianti esiste tuttora per una percentuale che va dal 2 al 6 % , e le differenti percentuali dipendono dalle tecniche chirurgiche utilizzate e dal substrato, ovvero dal paziente (condizioni fische, qualità e quantità dell’osso, igiene domiciliare , cattive abitudini quali fumo, alcool ecc..)
Riassumendo un po’ possiamo dire che le attuali tecniche di inserimento degli impianti sono:
· Impianti transmucosi (una fase chirurgica )
· Impianti sommersi (due fasi chirurgiche)
· Impianti postestrattivi (carico immediato o differito)
La ricerca scientifica è sempre più indirizzata nel ridurre i tempi d’attesa per il paziente e l’operatore oltre che a limitare al minimo le sedute di chirurgia.
Vedremo cosa il futuro ci riserverà ……………
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